Non so perchè stese prendendo qualche ceffone, in realtà mentre stavamo
così quasi come immobili succedevano delle cose, delle piccole cose,
erano tutti frammenti di attimi diversi e uguali, ero completamente
rilassata perché sapevo che quel pomeriggio non sarebbe finito
all'improvviso ma avevo e avevamo davanti ancora alcuni giorni, quindi
tante ore, infiniti attimi, il tempo si stava dilatando immensamente
nella mia percezione.
I miei piedi scorrevano sul soffice tappetino.
Si appoggiavano sulla bocca, pretendevano di sentire il calore della lingua, si insinuavano fin dentro alla gola.
Si spingevano fino alle catene fredde e le facevano vibrare.
La cintura di castità stringeva le parti intime del mio schiavo. Era
chiusa con un lucchetto la cui chiave era in mio possesso, come tutte
le altre chiavi di tutti gli altri lucchetti, le chiavi delle manette,
tutte le chiavi erano in mano mia, erano tantissime. Il mio slave non
avrebbe potuto espletare i suoi bisogni se non glielo avessi concesso.
Era impossibile per lui togliersi quella pesante costrizione senza
prima essere liberato dal lucchetto che la chiudeva. Lo sapeva. Non
poteva fare nulla, niente di niente, nemmeno il cazzo così gonfio e
arrotolato su se stesso avrebbe mai potuto spruzzare la sua immonda
colla. E io non lo liberai. Lo volevo così, rassegnato e senza alcuna
speranza.
SEGUE XXXXX